Distalizzazione: L’ortodonzia deve essere sostenibile, non solo eccellente, anche per i pazienti.

pubblicato in: Casi 0

Quello di Luca è un caso che può essere esemplificativo di quello che intendo per sostenibilità del trattamento ortodontico. Un caso complesso che avrebbe potuto essere trattato in tanti modi, tutti sicuramente efficaci ed efficienti, ma quello che ho scelto mi sembra al momento il più sostenibile. Intendendo per sostenibilità di un trattamento un contenimento dei tempi e dei costi ad esso collegati, e in ultimo ma non meno importante, il contenimento dei disagi arrecati al paziente e della collaborazione richiesta.

Luca, a 16 anni e due mesi si presenta alla mia osservazione, come la stragrande maggioranza dei pazienti, per un incisivo “storto”. Una delle cose più difficili in questo, come in molti altri casi, è stato spiegare ai genitori in un modo comprensibile che cosa sia una seconda classe sottodivisione e che l’ultimo dei problemi sarebbe stato l’incisivo. Ho sempre avuto grandi difficoltà a chiudere “bene” i casi di sottodivisione, probabilmente perché ho sempre fatto affidamento su protocolli incentrati sulla collaborazione del paziente: archi di lavoro, grande uso degli elastici e vediamo dove riusciamo ad arrivare.

Nel caso di Luca, ho dovuto optare per una soluzione diversa. Luca ha si una seconda classe sottodivisione, ma ha anche un profilo che non mi stupirei di trovare in una terza classe. Questo mi ha indirizzato verso una terapia che escludesse a priori l’utilizzo massiccio di elastici di classe II. Rimangono due opzioni, estrazioni asimmetriche con gestione degli ancoraggi a dir poco problematica o distalizzazione e ho optato per quest’ultima.
Nella mia realtà clinica la distalizzazione è raramente una scelta di elezione dato che secondo MacNamara (e non solo) la maggior parte delle classi II è conseguenza di un retroposizionamento dell’arcata inferiore. Ed è proprio perché distalizzo raramente che non ho mai investito più di tanto tempo, energie e risorse nella formazione sull’utilizzo dei distalizzatori, che siano essi ad ancoraggio dentale o scheletrico (il discorso cambia invece se parliamo di allineatori, dove i protocolli per la distalizzazione mi sono molto chiari e li trovo abbastanza efficaci).

Con Luca ho iniziato come spesso faccio quando voglio distalizzare senza la collaborazione attiva del paziente, con un sistema che prevede l’utilizzo di una Coil NiTi compressa che va dal primo premolare al primo molare per sfruttare la legge di Hooke ed avere più spinta e per un periodo più lungo. Per annullare la forza di reazione sul premolare lego quest’ultimo con una legatura metallica a una minivite posizionata più distalmente tra primo e secondo premolare. Ma non tutti i protocolli possono essere applicati a chiunque e nel caso di Luca ci sono state varie problematiche come la rottura dell’arco e la sua frequente fuoriuscita dal tubo del sesto. Per ovviare a tutto questo ho bondato anche il secondo premolare ma così facendo ovviamente si è perso il vantaggio della coil lunga e i risultati sono stati scarsi nei primi due mesi.
A questo punto, nell’ottica della “sostenibilità” ho preferito sfruttare componenti che avevo già presenti nella bocca del paziente, cioè una minivite, bracket e molle in NiTi.

Ho creato, piegando e modellando un filo .017x.025 di TMA, un “gig” che traferisse la forza distalizzante di una molla compressa in nickel-titanio, direttamente sul 26 evitando così di avere effetti collaterali o di perdita di ancoraggio sui premolari o sul canino. Il gig, molto semplice da un punto di vista realizzativo, prevedeva un’asola creata con una pinza loop-forming nel quale far passare l’arco .019x.025 SS dell’apparecchiatura multibracket, un montante al di sopra dell’asola, un gancio sul quale applicare la molla chiusa Ni-Ti partente dalla testa della vite e un terminale a L che si inserisse nello slot ausiliario superiore di un doppio tubo bondato sul 26. Il tutto modellato “chair-side”.

La distanza tra il gancio del gig e la testa della vite però non era sufficiente per permettere alla coil chiusa di essere attiva, a questo problema ho ovviato creando una fionda, con entrambi i capi della coil inseriti sulla testa della vite.
A distanza di 4 settimane rivedo il paziente e noto già uno spazio tra 25 e 26, con la molla scarica e il montante del gig molto vicino al primo premolare. Segno che il gig era scivolato verso distale.
Per attivare il sistema ho spostato con la Weingart il gig mesialmente e bloccato il terminale con del composito macroriempito (tempo alla poltrona irrisorio, cioè quello richiesto per le foto).
Dopo 8 settimane la distalizzazione è apprezzabile e le fibre transettali stanno portando con se anche i premolari (anche qui, solo foto).

A 16 settimane la distalizzazione è completata e non resta che iniziare a portare verso distale premolari e canini. Utilizzo lo stesso gig per mantenere l’ancoraggio del 26 e portare indietro il 25.

Dopo di che rimuovo la vite e arretro uno alla volta 24 e 23 utilizzando come ancoraggio 25-26-27. A 8 mesi, senza la collaborazione attiva del paziente, la classe II è risolta è inizia una rapida rifinitura.

La terapia di Luca è durata circa 23 mesi. Ma considerando che il povero paziente ha saltato per motivi personali l’appuntamento per smontare l’apparecchio fissato per il 5 marzo del 2020, ed essendosi il mondo bloccato per i 3 mesi successivi, possiamo anche dire che il suo trattamento è durato circa 20 mesi. La soddisfazione per questo caso non deriva dal risultato finale, seppur buono, ma dal fatto di aver portato a termine la terapia in un modo che, per me, è sostenibile. E questo mi piace! Ciao a tutti e buona settimana!